Monthly Archives: maggio 2015

L’attività fisica migliora il “ritmo” della nostra vita

L’attività fisica può contribuire a mantenere ritmi di vita più sani, al di là dell’età. Praticare ginnastica sembra rendere il corpo maggiormente in grado di giudicare quando e quanto più si dovrebbe stare in movimento e quando si dovrebbe riposare. E’ quanto afferma un nuovo studio, coordinato da Frank A .J. L. Scheer, professore presso la Harvard Medical School, pubblicato su PNAS.

Per lo studio il dottor Scheer e i suoi colleghi, tra cui Hu Kun di Harvard e Johanna Meijer dell’Università di Leiden (nei Paesi Bassi), hanno preso dei topi di età compresa tra giovani adulti (6 mesi) e quasi anziani (2 anni) e li hanno messi in gabbie dotate di sensori a infrarossi che costantemente monitorassero la loro attività fisica. Hanno anche dato agli animali una ruota per la corsa e li hanno lasciati liberi di correre a volontà per un mese.
I topi giovani, che correvano parecchio, hanno sviluppato rapidamente schemi di attività con picchi e valli e un’evidente demarcazione tra il giorno e la notte (usata per riposarsi). In pratica si osservava una logica interna al movimento: se erano stati fermi per qualche tempo, poi i topi si sarebbero mossi; se si fossero appena mossi o esercitati molto, si sarebbero presi un momento per tranquillizzarsi e poi si sarebbero fermati del tutto.
In sostanza, i giovani topi sembravano in qualche modo ricordare e rispondere a ciò che il loro corpo aveva appena fatto (stare fermo o in movimento) e su questo calcolare la risposta adeguata che sarebbe seguita (se muoversi o stare fermi), creando, di fatto, un ritmo circadiano sano.
Gli animali più vecchi agivano su schemi simili, ma con meno sbalzi.

3028928-slide-mrtimeFoto: fastcodesign.com

Come si scombinano i ritmi di chi è più sedentario
Nel prosieguo dello studio poi gli scienziati hanno tolto le ruote. In pochi giorni, tutti gli animali hanno cominciato a mostrare modelli più casuali di movimento. Magari improvvisamente correvano intorno alla gabbia durante quello che avrebbe dovuto essere il loro periodo di quiete oppure stavano accovacciati quando normalmente sarebbero stati attivi. E più interessante ancora, gli schemi dei topi giovani e vecchi diventavano molto più simili di quanto non fossero in precedenza. «Tale constatazione – suggerisce il dottor Scheer – dimostra che l’esercizio fisico influisce sugli schemi quotidiani di movimento più che non faccia l’età. Togliete la ruota da corsa a un giovane topo e i suoi schemi di attività fisica sembreranno quelli di un animale più vecchio: meno attività fisica durante il giorno e qualche movimento occasionale di notte».
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E infatti, non appena i ricercatori hanno ripristinato le ruote da corsa nelle gabbie, i topi hanno ricominciato a seguire i loro vecchi modelli di movimento, più sani.
Il dottor Scheer e i suoi colleghi ritengono che l’esercizio fisico influenzi l’orologio biologico interno al corpo, il suo ritmo circadiano appunto, in particolare quello legato al generico movimento.

Fonte: Corriere Della Sera


-7kg in 3 anni. Come? Va al lavoro i bici

Il passaggio dalla macchina ai mezzi pubblici, o alla bicicletta o ancora alle camminate per andare da casa all’ufficio aiuta veramente a perdere peso nel giro di tre anni. Lo suggerisce una ricerca pubblicata online sul Journal of Epidemiology e Community Health e condotta su 4mila partecipanti alla British Household Panel Survey in tre fasi: 2004-2005, 2005-2006 e 2006-2007. Il passaggio dall’uso dell’auto a qualsiasi altro mezzo più “movimentato” per raggiungere il posto di lavoro, è stato associato a una riduzione statisticamente significativa media dell’Indice di massa corporea (Bmi) di 0,32 kg/m2, equivalente a una differenza di circa 1 kg a persona, in media.

cycling-to-work_3139056b Foto: telegraph.co.uk

Più lungo è il tragitto, più forte è risultata questa associazione, con una riduzione del Bmi di 0,75 kg/m2 (pari a una perdita di peso di circa 2 kg) per i percorsi superiori a 10 minuti, e 2,25 kg m2 con quelli di oltre 30 minuti, equivalente alla perdita di peso di circa 7 kg, in media.

Al contrario, si sono osservati aumenti di peso nelle persone che lasciano i mezzi pubblici o la bicicletta per l’automobile. <<In combinazione con altri studi precedenti sugli effetti benefici per la salute e l’ambiente derivanti dall’uso della bicicletta, del trasporto pubblico o dei propri ‘piedi’, questi risultati si aggiungono alle evidenze che suggeriscono interventi per promuovere la diffusione di queste forme di trasporto più sostenibili>>scrivono gli autori.

Fonte: AdnKronos Salute


Sport e perdita di peso aiutano il fegato malato

Praticare e sport e consumare cibi salutari e meno calorici aiuta anche chi soffre di problemi al fegato. Ad affermarlo è uno studio firmato dai ricercatori del National Institute of Gastroenterology dell’Havana, a Cuba, e dai colleghi spagnoli del Valme University Hospital di Siviglia e del Valencia University Hospital.

WalkingFoto:caribbeancr.edublogs.org

Il lavoro è stato presentato all’Easl 2015 in corso a Vienna, il congresso internazionale sul fegato. Lo studio è stato condotto su 293 pazienti con steatoepatite non alcolica.La ricerca, sottolineano gli autori, mostra che l’effetto del dimagrimento indotto da cambiamenti nello stile di vita è fortemente legato a una serie di importanti miglioramenti istologici. In particolare, perdere più del 7% del proprio peso sulla bilancia già si traduce in una cascata di effetti positivi, ma per indurre una risoluzione della steatopatite e un miglioramento nella fibrosi occorre superare il 10%. Nella ricerca i pazienti sono stati sottoposti a una dieta ipocalorica e povera di grassi e a un regime di attività fisica per 52 settimane.

Nello studio, durato 14 anni e condotto su una coorte di almeno 1 milione di persone in Gran Bretagna, si è scoperto che le chance di morire per una steatoepatite non alcolica sono del 50% più alte rispetto a quelle che hanno le persone afflitte da “fegato grasso”. <<Il fegato grasso non alcolico è un fattore di rischio conosciuto di malattia cardiovascolare – chiosa Jake Mann dell’University of Cambridge – suggeriscono che la steatoepatite rappresenti un pericolo ancora più grande>>.

Fonte: AdnKronos Salute